Lo scorso 19 maggio, alle ore 17 presso il chiostro del convento di San Francesco, il Comune di Pistoia, in collaborazione con la parrocchia di San Francesco, ha presentato l’opera postuma “La vita nuova” di Mario Agnoli. L’opera è stata curata dalla vedova Marina Zampolini Agnoli.
L’opera è stata introdotta dalla Prof.ssa Maria Lorello della quale riportiamo le parole.
“Prima di iniziare a parlare del suo libro, vi dico qualcosa su Mario Agnoli, chi volesse approfondire può cercare notizie su internet… Mario Agnoli è nato nel 1924 a Valle di Cadore (Belluno), ha vissuto e lavorato a Pistoia, come Dirigente Amministrativo; è stato docente universitario. Ha pubblicato libri di poesie, racconti, romanzi e numerosi saggi di diritto, ma anche di narrativa e di arte.
E ora voglio accennare a un episodio della sua vita da ragazzo, di cui sono venuta a conoscenza, su Internet: un episodio che avvenne durante la guerra, quando, inseguito dai nazisti, dovette nascondersi in una legnaia, senza luce e pochissima aria. Quando finalmente arrivò la liberazione, Mario stremato, magrissimo e con le gambe anchilosate per la lunga immobilità, poté finalmente riabbracciare i familiari e riprendere quindi, con coraggio e determinazione, la sua vita di giovane uomo, lo stesso coraggio e la stessa determinazione che poi manifesterà attraverso il suo impegno nelle istituzioni locali, al servizio dei cittadini.
Quest’esperienza segnò Mario per sempre, vi leggo perciò a questo proposito cosa lui dice nel romanzo “La fuga”: “Può l’uomo dimenticare per ritornare, riprendere la vita rimuovendo quel tempo? Rimangono le ferite, sebbene nascoste, nel corpo e nell’anima.”
La risposta che Mario Agnoli ha cercato di dare a questa domanda, è quella espressa da uno dei protagonisti del romanzo, chiaramente è lo stesso Agnoli che parla, immedesimandosi in quel personaggio, ecco cosa dice: “l’uomo deve continuare a credere nell’amore e nella speranza per ritrovare in sé non solo le motivazioni, ma anche la volontà di vivere in pace. Nelle varie stagioni della mia vita, sempre, come per ineluttabile forza, ho pensato all’utopia.”, …e su quest’ultima parola cioè utopia ritornerò tra poco, perché lui l’adopera spesso.
Queste parole che possiamo leggere nel romanzo La fuga, così come il contenuto del libro che è oggetto della presentazione di oggi, sono una testimonianza dell’importanza dell’amore e della speranza, due cose importantissime nella vita di ciascuno di noi e in cui Mario Agnoli credeva profondamente.
Questa, come ho già detto, è una raccolta di poesie e prima di parlarne, iniziamo con un piccolo “assaggio”, cioè con la lettura di due poesie presenti in questa raccolta e che parlano di un argomento, purtroppo, quanto mai attuale e di cui sentiamo il bisogno, oggi più che mai: la pace.
L’illusione pag 16; Il ritorno della pace pag 17
E ora, inizio a parlare del libro, che, come avete già capito già dalla lettura delle due poesie appena ascoltate, non lascia di certo indifferenti, ma prima, essendo questo un libro di poesie, vorrei provare a dire brevemente a che cosa serve la poesia e quali effetti produce sia su chi la compone che su chi la legge.
A che serve la poesia, ve lo dico con le parole di Garcia Lorca, le pronunciò alla cerimonia di consegna del premio Nobel a Pablo Neruda: “La poesia serve a nutrire quel granello di pazzia che tutti abbiamo dentro e senza il quale è imprudente vivere”
Quando parliamo degli effetti della poesia, non si può fare a meno di citare un grande critico dell’Ottocento e cioè Francesco De Sanctis, il quale, a proposito di Leopardi scrisse: “Questo uomo odia la vita e te la fa amare, dice che l’amore e la virtù sono illusioni e te ne accende nell’anima un desiderio vivissimo”. Ecco, quindi, a cosa servono i poeti, ad accendere dentro di noi una scintilla!
E dopo aver detto qualcosa sulla funzione della poesia, inizio a parlare di questo libro e comincio dalla copertina, dove c’è un titolo e un’immagine: il titolo di un’opera è il biglietto da visita dell’opera stessa, è una specie di riassunto del tutto. Il titolo “La vita nuova”, è chiaramente un omaggio al sommo poeta, che è stato una fonte imperitura d’ispirazione, come scrive Marina nell’introduzione. Un esempio su tutte è nella poesia di pag 61 in cui c’è la parola stelle, che ci fa subito venire in mente Dante, che uscendo dall’Inferno tira un sospiro di sollievo e dice …e quindi uscimmo a riveder le stelle. Vita nuova, dunque, perché Mario Agnoli in queste poesie manifesta la ricerca di un rinnovamento, cioè un bisogno di “andare oltre”, come possiamo leggere a pag 5, ecco ciò che dice lui stesso per spiegare cosa lo spinge a scrivere, ve lo leggo: “Ho riservato ai miei versi la bellezza, l’amore, la speranza nel fluire del tempo, per camminare, per correre a fregio delle acque. Sono come preso da una forza che mi spinge oltre ed alla quale non ho alcuna volontà di oppormi.”
“Amore e speranza” sono le due parole chiave che hanno caratterizzato la sua vita e a queste parole è collegata l’immagine di copertina: le acque di un torrente che, superando tutti gli ostacoli, scende a valle e trova comunque la strada, anche quando il terreno è impervio.
E ora, dopo aver accennato al perché del titolo e della copertina, vi dico come è strutturato il libro: oltre all’introduzione da parte di Marina, il libro comprende 92 poesie, così raggruppate: Poesie per la pace, Poesie dell’essere, Poesie dello spirito, Amore, I luoghi, i Passaggi.
Dal punto di vista formale, queste liriche sono composte da versi sciolti e schema metrico libero, quindi non c’è la rima e il numero delle sillabe di ciascun verso è sempre variabile.
E ora passo a esaminare alcune poesie. Una caratteristica che salta subito all’occhio sono i termini ricorrenti, parole cioè che Agnoli adopera spesso, ne dico alcune: tempo, pellegrino, utopia, mistero, perché, vorrei, illusione, solitudine, forse, ritagli, tu, ecc. Queste ripetizioni contribuiscono a creare un’atmosfera onirica, in cui possiamo immaginare luoghi, persone e avvenimenti.
Vediamone alcune… Fra le parole che ricorrono e a cui accennavo prima c’è il termine “illusione”, lo troviamo per esempio nella poesia di pagina 16, intitolata appunto “Illusione” che abbiamo ascoltato poco fa…oppure in quella di pag 31 intitolata proprio “Anima e illusione”, che ascolteremo tra poco e in cui si parla di “esercizio d’introiezione”, di “infiniti spazi, di fresche acque, di lontane terre…in questa poesia c’è la constatazione che l’illusione ci dà queste immagini ma che poi la solitudine ce le toglie.
Un’altra parola che ricorre spesso è la parola “tempo”: Agnoli dice in una delle poesie che ascolteremo tra poco che il tempo “fugge” (pag 34) e nella poesia della pagina successiva si parla “del giogo del tempo” o in quella di pag 43 quando dice che “ostile è il tempo” o nella poesia di pag 48 in cui dice che “negli intervalli di tempo” … siamo imprevedibili.
C’è poi la parola “perché”, che nella poesia di pag 34 è ripetuta 3 volte, anzi 4 se contiamo anche il titolo. In questa poesia lui si chiede il perché del mutare delle stagioni e conclude con la bellissima metafora in cui “la stagione” si nasconde “nelle dune del tempo”.
È frequente anche l’uso del tu, un tu che è forse il lettore, a cui si aggiunge la seconda persona del verbo, quel tu siamo noi, ma nella sezione intitolata AMORE (PAG 63) s’intuisce che quel tu è Marina.
E ora ascoltiamo alcune poesie della raccolta: “Perché” pag 13; “Il perché del mutare delle stagioni” pag 34; “Anima e illusione” pag 31; “A Marina” pag 71“Estate” pag 68
Un altro termine ricorrente è la parola forse, una parola bellissima, come dice Giacomo Leopardi: “Il forse è la parola più bella del vocabolario, perché apre delle possibilità, non certezze, perché non cerca la fine ma va verso l’infinito”. Troviamo questa parola per esempio a pag 94, quando Agnoli dice che “forse non v’è risposta” o nella quartina dell’ultima poesia della presente raccolta, a pag 114: “Forse questo nostro tempo nasconde ragioni misteriose…”.
Nella poesia di pag 61 a cui accennavo prima, oltre a stelle, c’è la parola Infinito, l’infinito leopardiano, che mai sazia. Del resto, la parola “infinito” ritorna spesso, come nell’ultimo verso che conclude la poesia di pag 43 intitola “Frammenti poetici”: “l’infinito sarà grande da sembrare un’isola senza confine” o in una delle poesie che ascolteremo fra poco e in cui la parola infinito non è un nome ma un aggettivo.
E ora passiamo a un altro aspetto che desidero esaminare, in ossequio alla locuzione latina pictura ut poesis, secondo cui la pittura parla e la poesia “dipinge”.
“Il poeta è una fabbrica di immagini”, ci rammenta il poeta francese Pierre Reverdy e leggendo le poesie di Mario Agnoli “vediamo”, infatti, papaveri, spighe, erbe aromatiche, prati incolti il sole, ecc.
Quindi in queste poesie è molto presente la natura, come possiamo vedere da ciò che lui scrive come prefazione alle poesie dedicate ai LUOGHI, quando dice che “la poesia fu costretta ad emigrare… e conclude dicendo che “decise di fermarsi nei luoghi dell’utopia” (pag 83) e qui, davanti alla parola utopia, a cui ho accennato prima, parlando del romanzo La fuga, è impossibile non citare Oscar Wilde, quando dice che cos’è l’utopia: “Una mappa del mondo che non contempli il Paese dell’Utopia non è degna di esistere, perché è là che l’umanità attracca più volentieri”
E ora, dopo aver accennato ad alcuni contenuti, parlo di alcune figure retoriche presenti in queste liriche, per esempio le similitudini:
-(pag 16) i perché dell’esistenza umana/si accumulano come nubi piene d’acqua
-(pag 17) “fuggente come una libellula” riferita alla pace
-(pag 38) “come una cometa spenta” riferito a sé stesso in fuga
-(pag 42) “terapie come soffi d’aria inzuppata”, riferito a “un male strano dell’anima
-(pag 44) quando dice “sarò solo come un angelo randagio”
-(pag 53) “come i papaveri avventati” come i fossili a segnare il tempo immemorabile”, riferito ai perché
-(pag 109) “come un vascello smarrito sull’universo marino”, riferito al proprio cuore.
È presente anche la metafora, cioè una similitudine accorciata: quando a pag 43 Mario Agnoli, per dire che i pensieri sono tanti usa l’espressione “sciame di pensieri” o a pag 89 ci parla di una “brughiera dell’anima” per significare che nella nostra anima si nascondono molte cose, come in una brughiera, o a pag 34 quando parla delle “dune del tempo”, per significare che il tempo o la percezione che ne abbiamo è spesso sepolto nel profondo di ciascuno di noi, come la sabbia nelle dune.
Un’altra figura retorica frequente in queste liriche è l’anafora, come, per esempio, a pag 25, in cui le prime 2 strofe iniziano con la stessa parola (la parola perché) o in quella di pag 73, in cui la parola “amo” la troviamo all’inizio delle 2 strofe o in quella di pag 59, intitolata “Italia” in cui la parola “dove” si trova all’inizio di molti versi.
E dopo queste mie considerazioni, passiamo di nuovo la parola al protagonista di questo nostro incontro e cioè a Mario Agnoli e ad alcune sue poesie della raccolta:
“Passaggio numero 24” pag 114; “Frammento poetico” Pag 61, “Passaggio numero 14” pag 104 “I sentieri pag 75 “Italia” pag 59
Beh, nel corso di questa presentazione, ho cercato di spiegare qualche cosa di questo libro e ritorno a dire che un libro non è soltanto di chi lo scrive, ma è anche di chi, leggendolo, ha il desiderio di condividere le emozioni dell’autore e qui dentro di emozioni ce ne sono tante, dalla prima all’ultima pagina.
Il poeta è un minatore, dice Giorgio Caproni, perché scava nel nostro profondo e tira fuori tutto ciò che è lì nascosto e Mario Agnoli a pag. 90 de La Croda Rossa dice che “La poesia è la luce dell’anima, che risale dal cono d’ombra”, e quindi la poesia è la cosa che ci salverà, perché parla a ciascuno di noi e ci dà la forza di continuare, il poeta è la luce, anche laddove il “buio” incombe. Se la poesia è la luce dell’anima dobbiamo ringraziare Mario Agnoli e tutti coloro che scrivono poesie perché coi loro versi sanno cogliere aspetti profondi del nostro essere che noi comuni mortali che poeti non siamo, non riusciamo a tirar fuori. Ed è per questo che è importante leggere ciò che i poeti scrivono.
All’inizio di questo mio intervento avevo accennato al ruolo della poesia e concludo allo stesso modo: quale grande potere hanno i poeti? I poeti hanno il potere di farci sentire forti, il potere di accendere un fuoco, di lenire il nostro dolore, anche quando parlano di sofferenze, come, per esempio, nella poesia dedicata alla sera, per la precisione alle sere d’autunno (a pag. 110). Anche qui, come nel famoso sonetto del Foscolo intitolato “Alla sera” c’è un’invocazione alla sera affinché porti la pace interiore, che possa affievolire “il dolore nascosto tra le spighe ribelli”. E, nonostante il tormento, non mancano i momenti di ottimismo, come nella poesia di pag. 13, quando dice “Ma ecco che il sole si fa strada/ fra le nebbie di questo giorno.
Concludo questa mia dissertazione sull’importanza della poesia citando Italo Calvino che nel bellissimo saggio “Tre talismani per il Duemila”, dice, tra le altre cose, che leggere le poesie e impararle a memoria è utile perché le poesie “ci fanno compagnia” e fa l’esempio di Primo Levi che nell’inferno di Auschwitz per farsi coraggio si recitava l’Ulisse di Dante. La poesia si interiorizza e si fa nostra solamente se la si impara a memoria e con la speranza che gli insegnanti non perdano questa pratica di far imparare ai propri alunni le poesie a memoria.”
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