Mario Agnoli, nato in provincia di Belluno, scomparso a Pistoia dove ha operato e trascorso gli ultimi decenni della sua esistenza, offre, con la sua esperienza di vita una lunga testimonianza di impegno civile, che ha trovato inoltre nelle sue opere poetiche e narrative un’espressione vivida e riflessiva ad un tempo.
Un capitolo importante della sua storia di cittadino e patriota risale ai tempi della prima giovinezza, quando, con lo slancio e la generosità delle sue origini dolomitiche, e sostenuto da una profonda fede religiosa, lottò contro l’oppressione nazi-fascista.
Era il 1944: Mario, appena ventenne, si unì ai partigiani che combattevano sulle montagne dell’agordino, sulle dolomiti bellunesi; durante un’operazione a valle, fu catturato lungo il Piave dai tedeschi, imprigionato nel carcere di Conegliano Veneto e condannato a morte. All’ultimo minuto la sentenza fu commutata nella deportazione in un campo di concentramento in Germania. Così Mario, insieme ad un compagno, fu caricato sul treno con i vagoni piombati diretto in Germania, senza acqua né cibo. Rimase per sempre impressa nella sua memoria la scena che si svolse nella stazione ferroviaria al momento della partenza: una giovane ragazza, mossa a pietà dei prigionieri, si avvicinò loro per rifornirli di acqua: un miliziano delle S.S. la colpì brutalmente con il calcio del fucile, facendo versare l’acqua. Questo episodio si costituì nella mente di Mario come emblema della ferocia e della disumanizzazione degli individui, travolti, in maniera ricorrente nella storia, da ideologie socio-politiche di morte e di violenza.
Entrato ormai il treno in territorio tedesco, Mario e il suo compagno, con la forza della disperazione, escogitarono un piano di fuga che rappresentava l’unica speranza di salvezza. Divelsero le assi di legno che costituivano il pavimento del vagone, e quindi si calarono sotto il treno, sui binari, con il rischio di essere individuati e uccisi dalle S.S. che vigilavano in armi sul tetto del convoglio.
Marina Zampolini Agnoli
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