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Sono già passati ventotto anni dal quel 23 Maggio 1992, dal cruento attacco allo stato e alle sue istituzioni che fu l’attentato al magistrato antimafia Giovanni Falcone sull’autostrada A29 nei pressi di Capaci. Quel giorno oltre a Falcone persero la vita sua moglie Francesca Morvillo (anche lei magistrato) e gli agenti della scorta Vito Schifani, Rocco Dicillo e Antonio Montinaro. I feriti furono 23.
Il lavoro svolto da Giovanni Falcone assieme all’amico e collega Paolo Borsellino tra gli anni ’80 e inizi anni ’90, con il “Pool antimafia” ideato da Rocco Chinnici, è servito a far luce sull’organizzazione mafiosa e a contrastarne i meccanismi interni rivelando inoltre un tessuto di relazioni e infiltrazioni sociali e politiche senza precedenti.
In questi ventotto anni sono successe molte cose e si sono attraversate varie fasi della lotta alla criminalità organizzata, periodi bui alternati a raggi di luce con numerosi arresti importanti che hanno più volte contribuito a destabilizzare la “cupola” (leggi anzitutto l’arresto di Salvatore Riina del 15 Gennaio 1993).

A che punto siamo oggi? Qual è la situazione ereditaria lasciataci da Falcone, Borsellino e da Antonino Caponnetto che guidò dal 1983, dopo l’assassinio di Chinnici, il famigerato Pool antimafia chiamando i due magistrati a svolgere quel coraggioso e delicato compito?

Ce lo spiega Salvatore Calleri in un post dello scorso 23 Maggio sul suo Blog.
Salvatore Calleri è nato a Catania nel 1966 e vive sin da piccolo a Firenze. Laureato in giurisprudenza nel 1991 ha conosciuto Antonino Caponnetto con il quale ha collaborato fino al 2002, anno della sua morte. E’ esperto di lotta alla mafia, analista nel campo della sicurezza e della criminalità organizzata internazionale e presidente della Fondazione Caponnetto e consigliere della Fondazione Pertini.

“La mafia vive di segnali – commenta Calleri – ed oggi che si ricorda Giovanni Falcone e Francesca Morvillo e la sua scorta quali sono i segnali che vengono mandati? Pessimi, questa è la verità.”

Proseguendo nella sua disamina sul momento storico in atto, con la pandemia ancora in corso, aggiunge una considerazione riguardante il quadro politico-sociale: “Il 41 bis viene ammorbidito. Le interdittive antimafia prefettizie così come gli scioglimenti dei Comuni per mafia vengono messi in discussione. La mafia che con la pandemia sta facendo affari d’oro non è al primo posto tra i problemi del paese. I pro mafia abbondano. I mafiosi vengono scarcerati, anche se la cosa ora sembra si sia interrotta. Una trattativa riaffiora con le rivolte carcerarie. Il mascariamento impera (mascariare può essere riferito in italiano al calunniare con il fine di delegittimare una persona, tecnica dei mafiosi per screditare chi li combatte “n.d.r.”).
La magistratura appare purtroppo in una crisi che potrebbe essere senza ritorno.
Un magistrato come Sirignano massimo esperto europeo di agromafia viene tolto dalla DNA e quindi de facto isolato.”

Le conclusioni alle quali poi si arriva dopo questa analisi purtroppo non sono buone, anzi appaiono pessime: “Non è proprio un bel 23 maggio. Il periodo è il più buio da 30 anni a questa parte.
Si può ripartire in modo efficace solo se cesseranno tali nefasti segnali.”

C’è ancora molta strada da fare per arrivare ad un solido stato di legalità e c’è bisogno ancora di seguire la strada tracciata da Giovanni Falcone per non perdersi o confondersi nelle trappole che la criminalità organizzata ci lancia costantemente in maniera sempre più sottile. Sta a tutti noi non concedere spiragli e opportunità in cui la mafia possa insinuarsi, vigilando con rigorosità su tutte la parti della nostra complessa società contemporanea. Che i prossimi 23 Maggio siano più solari di quelli passati.

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